AlberiL’associazione Città Sostenibile, che si occupa della tutela dell’ambiente urbano, in occasione della pubblicazione del PAES (Piano d’azione per l’energia sostenibile) di Salerno, poi oltretutto premiato in Cina col prestigioso “Guangzhou International Award For Urban Innovation”,  ha donato alla città due lecci autoctoni, simbolo dell’impegno profuso per la sostenibilità ambientale. Questa occasione mi ha dato uno spunto di riflessione per indagare lo status quo della forestazione italiana; dopo approfondite ricerche mi sono sinceramente stupito di appurare che negli ultimi 20 anni il patrimonio forestale italiano è aumentato di circa 1,7 milioni di ettari, raggiungendo oltre 10 milioni e 400 mila ettari di superficie, con 12 miliardi di alberi che ricoprono un terzo del territorio nazionale.

 

Questo è quanto emerge dall’ultimo “Inventario nazionale delle foreste e dei serbatoi di carbonio” (Infc) del Corpo forestale dello Stato. Per brevità vi risparmio ulteriori numeri e percentuali pubblicati, ma da questi si evidenzia l’importanza dei suoli forestali, non solo per la loro funzione di difesa idrogeologica, per la tutela della biodiversità e per la produzione di legname, ma anche per la mitigazione dei cambiamenti climatici in atto. Felice della scoperta mi sono chiesto, però, se fosse tutto oro ciò che luccicava.

Leggendo qua e là documenti e rapporti ufficiali anche storici, ho scoperto che dopo una devastazione forestale cominciata nel ‘700 e durata fino agli anni 20-30 del secolo scorso, l’estensione dei boschi è andata poi sempre più aumentando, non per una coscienza ambientale ma per la fuga dei contadini dai terreni collinari e montagnosi dove si trovava circa il 70% dei terreni coltivati, di cui il 45% in montagna. Il fenomeno è coinciso con la riconquista di pascoli ovini e con l’esplosione della vegetazione forestale atta a essere tagliata periodicamente. Le aree abbandonate sono state coinvolte da almeno tre grandi processi legati alla vegetazione forestale. Il primo è consistito nell’abbandono delle aree marginali periurbane. Il secondo è legato all’estensione delle monocolture a discapito di coltivazioni di ostacolo alla meccanizzazione, impoverendo fino all’inverosimile i terreni aggrediti poi da  fertilizzanti chimici per poterli riutilizzare. Il terzo processo è stato la specializzazione delle colture con impianti artificiali ad alta densità (oliveti, vigneti, frutteti per esempio) o con l’intensivizzazione delle colture su scala industriale (serre, colture orticole, vivai industriali per esempio). È per tale ragione che i piccoli appezzamenti di terreno coltivati, specie se contigui alle aree urbanizzate, sono stati abbandonati per poi essere fagocitati dal cemento. Questo è il più grande problema che dobbiamo affrontare oggi, dopo la più grande crisi economica vissuta nei tempi moderni, in un’Europa che viaggia velocemente verso una sostenibilità ambientale che dovrà per forza essere a 360°.

Se è comunque positivo l’aumento del patrimonio forestale italiano, permane dunque il grave problema del consumo di suolo, come ha sottolineato più volte il presidente della commissione agricoltura europea De Castro. Dobbiamo assolutamente evitare di vanificare i circa 12 milioni di ettari incolti e abbandonati dall’agricoltura, perché un altro terzo del territorio italiano già è sottratto alla natura dall’urbanizzazione e dalle infrastrutture. Non possiamo più dichiararci interessati all’ambiente e poi abbandonarci a comportamenti non più sostenibili. Cominciamo dalle nostre case, dai nostri consumi, dai nostri insegnamenti ai figli. L’economia consumistica anni ‘60-’80 è finita sepolta nelle discariche abusive di tutta Italia. E non tornerà più, facciamocene una ragione.

 

( Fonte : Attenti all’ uomo )